26 luglio 2014

FestegGiare

FestegGiare, doveva essere una festa in onore dell’estate, ma il tempo bizzarro di quest’anno ha trasformato la serata in una piovosa serata d’autunno, con anche un po’ di nebbia tra i colli cesenati.
Siamo comunque andati a questo evento spinti, prima di tutto, dalla voglia di rivedere un amico, Claudio, titolare del Le Giare a Montenovo di Montiano, poi dalla voglia di assaggiare le nuove creazioni del suo bravissimo chef, Gianluca Gorini, ed infine dalla curiosità di assaggiare i vini dell’azienda RiLuce dell’Oltrepo Pavese, di Giorgio Mercandelli.
Ora, parlare del Le Giare senza parlare dei piatti di Gianluca è una eresia, perciò due parole le spendo subito, perché poi vorrei, questa volta, parlare di questi strani vini fatti da quello strano personaggio che è Giorgio Mercandelli.
I piatti:
Ogni piatto viene servito con abbinato un bicchiere, a volte di questi strani vini, a volte con altre bevande.
Una considerazione sulla cucina di Gianluca Gorini, i suoi piatti sono impostati sull’antagonismo dei sapori, con acuti, normalmente della componente acida o amara, equilibrati dalle componenti dolci e morbide.
Il grande equilibrio che riesce a realizzare fa dei suoi piatti una vera e propria opera d’arte.

Palamita, cetriolo in salamoia, senape nera: la palamita, buonissima, serviva da tavolozza sulla quale erano appoggiati i “colori” di questo piatto. Il cetriolo in salamoia che contrastava con la senape forte di Digione. Mi ricordava un pò i cetrioli sud tirolesi con il cren, sapori comunque taglienti che ti avvisano su che strada prenderà la cena.
Servito con GIN TONIC da manuale dal sapore neutro per non sovrastare i sapori del piatto.

Crostacei, pomodoro in conserva, pompelmo rosa: anche qui ottima la qualità dei crostacei, mazzancolle e canocchie, ed anche qui la parte del leone la fanno i pomodori in conserva, tendenti al dolce e gli spicchi pelati del pompelmo rosa acidi. Servito con vino bianco “E”.                                                                                                       

Penne all’arrabbiata …   …   …  : qui il dualismo era presentato dal pomodoro, acido in una maniera straordinaria e la paprika, dolce ed olio della tenuta Pennita che arrotondavano questi acuti senza perdere nulla in piacevolezza, alcuni tocchetti di sgombro crudo e foglie di erba di campo condivano il tutto. 
Servito con INFUSO DI ANICE SEMI E FIORI, piacevole, ma non ho capito l’abbinamento.




Tortelli di melanzane fumè: insieme al seguente, il piatto top della serata. Tortelli ripieni di melanzane affumicate, serviti con pomodori dolci, ricotta fresca ed una crema dei erbe amare che riproponeva il dualismo dolce/amaro. 
Servito con vino bianco “E”.

                             
Coniglio al pepe verde: come detto prima uno dei piatti top della serata.  Salta fuori un po’ l’origina dello chef in questo piatto che ricorda la tradizione marchigiana del coniglio in porchetta. Cottura perfetta delle carni, di grandissima qualità, che prendevano ulteriore sapore dal finocchietto , dolce, e dal pepe verde, aromatico e fresco, non troppo piccante.



Servito con vino rosso “A”, purtroppo.

                                 


Quinto quarto: Fegato, cuore e reni, il cuore e le reni, tendenzialmente amare contrastavano benissimo con la dolcezza di un fegato al rosa di qualità stratosferica
Servito con un THE VERDE che, IMHO, ha penalizzato il piatto.

Castrato alla brace: tre tagli di questo animale, cotti alla brace, serviti con un purè di limone ed una salsa che a me è sembrata di cicoria, tanto era amara. Il collo, più grasso e tenero era veramente buono, le altre parti, pur molto saporite, erano un po’ durette nonostante la poca cottura. Le due note affiancate, il purè acido e dolce e la salsa amara, rendeva comunque interessante questo piatto.

Servito con vino rosso “I”.





Verbena & Rhum     

Cocomero, rucole e cannella  
                             


Fucsia
                       


I vini…
Da quello che ho capito, Giorgio Mercandelli, come detto prima è uno strano personaggio, ricerca i vecchi vigneti dell’Oltrepo Pavese, vigneti abbandonati dai precedenti proprietari e vi va a raccogliere l’uva, senza fare nulla di quello che è la viticoltura tradizionale, ma neppure quella innovativa o biologica-biodinamica. In sostanza, non li coltiva. Raccoglie solo l’uva, quanto la ritiene pronta, la porta in cantina e la vinifica.
Ora io non so se ho capito bene, ma sembra che a lui non interessi fare dei vini “buoni”, il buono è un concetto per lui superato, sembra che la sola cosa che ritiene importante sia la LUCE che riceve il vigneto. Non per nulla ha chiamato l’azienda “RiLuce”. Ed i suoi vini li ha chiamati con delle vocali le quali vocali, nel pensiero di non ho ben capito quale filosofo, richiamano dei colori che lui ha puntualmente riportato nelle etichette delle bottiglie. Vocali che ha inciso sulle etichette anche in braille, penso per fare capire la cosa anche alle persone non vedenti … (?)
I suoi discorsi che passano dal naturale all’alchimia, dalla luce delle vigne al ridotto del vini, sono, a mio parere alquanto strani, ma non avendoli capiti in pieno non voglio dare un giudizio su questa filosofia.
Una mia impressione sui vini però penso di avere il diritto di esprimerla.
Io non ho superato il concetto di buono e perciò, probabilmente, parlerò di un universo parallelo a quello di Giorgio Mercandelli.
Il primo vino, “E” , è un vino bianco con una discreta macerazione, ha un alto grado alcolico e con una discreta acidità che rende il vino abbastanza equilibrato. E’ il vino più interessante della serata e l’unico dl quale ho bevuto più di un assaggio.
Il secondo vino, “A”, è un vino rosso colore granato, con una forte puzza al naso che mi fa pensare a scarsa pulizia, molto alcol anche in questo vino, ma decisamente poco piacevole.
Il terzo vino, “I”, è un altro vino rosso, nel versarlo ha prodotto una leggera spuma che è sparita, giustamente, in breve tempo. Il colore più rubino con riflessi quasi violacei. Al naso più pulizia del precedente, ma con un leggero ridotto che, nel tempo, si è affievolito. Frutti maturi e molto alcol in bocca, anche un residuo zuccherino che rende il vino molto morbido. Leggermente più piacevole del precedente, ma niente di che.
Come avrete notato, non ho parlato di vitigni perché per lui la tipologia dei vitigni è ininfluente per la realizzazione dei suoi vini ed a noi non li ha comunicati.
Se volete approfondire la conoscenza di Giorgio Mercandelli, della sua storia e dei suoi vini, vi lascio alcuni link:

24 luglio 2014

Verticale Gaiospino

La degustazione di alcune annate di uno dei Verdicchi più originali delle Marche è stata la scusa per trovarsi a casa di un amico a ridere e scherzare e, perché no, mangiare due cosette.
Mirko Castellucci mitico fornaio di San Colombano, appena fuori Meldola, ha casa in centro a Forlì ed approfittando dell’assenza della famiglia ci ha ospitato per questa degustazione, oltre a prepararci alcuni manicaretti come la sua favolosa spianata che ha farcito con funghi porcini saltati in padella e salmone
e un piatto di spaghetti di pasta Kamut con gamberi e funghi porcini, un revival anni 70 che ogni tanto non dispiace.
Cominciamo con un aperitivo di bollicine, Champagne Gosset-Brabant NV: bel vino, fresco con perlage fino e dal colore paglierino. Una piccola nota ossidativa dava al vino un carattere importante degno di un vino da tutto pasto.

Ma torniamo alla scusa di questa riunione.
Lucio Canestrari ha impostato la sua cantina, Fattoria Coroncino, con una filosofia molto particolare che ricorda molto quella del guru friulano Josko Gravner: fa il vino che piace a lui.
Poi, se piace al mercato, riesce pure a venderlo …  ed al mercato piace e pure molto, almeno se per mercato mi ci posso mettere io ed i miei amici.
Trovate in giro per varie cantine di amici  le seguenti bottiglie:
Gaiospino Fumè 1998
Gaiospino 1999
Gaiospino 2000
Gaiospino 2001
Gaiospino 2002
Stracacio 2003 E’ decollata la verticale:

Gaiospino Fumè 1998, legno perfetto, per niente invasivo, ancora una buona acidità in bocca dava equilibrio ad un vino corposo e persistente, tra i migliori della serata.
Gaiospino 1999, il tappo non ha tenuto ed il vino si è ossidato da bestia, non giudicabile.
Gaiospino 2000, bel colore giallo paglierino, con ancora qualche riflesso verdognolo. Al naso ancora molti fiori e poi frutta gialla matura. In bocca è armonico con un bell’equilibrio tra alcol e freschezza. Lunga persistenza. Un gran bel vino.
Gaiospino 2001, giallo chiaro ancora con bei riflessi verdognoli, al naso fiori di mandorla e di acacia. In bocca è un vino fantastico, a mio parere il migliore della serata. Armonico ed equilibrato con una freschezza lunga ed affilata che ti fa venire voglia di berne a litri.
Gaiospino 2002, dopo la grande prova del precedente un po’ ha pagato. Un pelo meno armonico, con poco corpo ed un pelo squilibrato verso la parte acida.
Stracacio 2003, non c’entra nulla con gli altri verdicchi, tutto un altro vino, quasi 16 gradi alcolici, è un vino da formaggi, ma ancora con una acidità importante che reggeva benissimo il confronto con l’alcol e lo faceva diventare un vino equilibratissimo ed armonico.

Un grazie di cuore a Mirko per averci ospitato e…

Alla prossima!