20 settembre 2014

Dopo le vacanze

Ci si ritrova dopo il periodo di ferie estive per un incontro bevereccio in quel de I Du Butò a Solarolo (RA).
Andrea, lo chef patron, ci prepara qualcosa da mangiare, sempre leggero e ben digeribile per accompagnare le bottiglie che ci portiamo.
Cominciamo con un Verdicchio Collestefano 2010 in gran forma, con una bella acidità che resetta la bocca ed una nota minerale che mi piace assai.

A seguire A Puddara 2011, non pulito come lo ricordavo da precedenti bevute, ma comunque si nota che è un grande vino, tra i migliori bianchi italiani.

Finiamo la carrellata dei bianchi con un grande Rieslig, Hermannshöhle GG 2011 di Dönnhoff.
Veramente notevole, piacevolissimo in bocca con una giusta acidità ed una lunghezza kilometrica.



Andrea ci ha preparato, per questa tornata, una carrellata di crudo di pesce ed alcuni assaggi di cucina giapponese di cui lui è maestro.

Passiamo poi ai rossi con un Pinot Nero di Borgogna, Marsannay di Camuzet del 2009, ancora molto giovane, con un gran frutto sia al naso che in bocca. Non lunghissimo, ma comunque piacevole.

Continuiamo con un Barolo dei Fratelli Alessandria del 2010. E’ il base, ma comunque ha una carattere importante, una bella beva ed una lunghezza in bocca che può fare invidia a vini più blasonati.

Viene poi inserito in mezzo a questi due un Brunello di Montalcino Le Macioche del 1999 che fa subito un figurone. Un bel naso di frutta rossa matura, ma anche terra e carruba, in bocca è fine ed elegante, una grandissima beva ed una persistenza infinita.


Come primo piatto, in abbinamento a questi vini, Andrea ci ha preparato quello che forse si rivelerà il miglior piatto della serata: Ravioli di ricotta con borraggine e funghi porcini, veramente notevoli.

Continuiamo con un'altra batteria di rossi:
Duca Enrico 1993 di Duca di Salaparuta, un Nero d’Avola veramente notevole, regge molto bene gli anni che ha. Il colore molto “mattonato” mi aveva fatto una brutta impressione invece sia al naso che in bocca si rivela un bel vino, complesso e armonico, con una bella struttura ed un piacevole finale.


Viene quindi inserito il secondo vino della batteria che è un Barolo della Azienda Agricola Brezza, Castellero 1999. Qui si riconosce subito il nebbiolo con tutte le sue caratteristiche anche se è leggermente sotto tono rispetto al barolo bevuto in precedenza.

Andrea ci propone qui un coniglio “in porchetta” su crema di zucca e funghi porcini freschi. Qui, a mio giudizio, l’abbinamento dei sapori è un po’ azzardato ed il forte dolciastro della zucca copre il delicato sapore del coniglio che, pur essendo carne di grande qualità, non riesce ad emergere.

Ultima battuta, partiamo con un Bordeaux, Carruades de Lafite 1998, classico uvaggio bordolese con preponderanza di Cabernet, appena aperto aveva un po’ di puzzetta che, a mio avviso, stando nel bicchiere è poi sparita. Un grande vino comunque, equilibrato e complesso, pronto alla beva e molto lungo in bocca.


Ricolma 1999 San Giusto a Rentennano, neanche a farlo apposta, questo merlot, a suo tempo considerato uno dei migliori prodotti in Italia, a fianco del Lafite fa una figura meschina. Al naso parte con un pomodoro quasi invadente che poi si trasforma in triplo concentrato. In bocca è leggermente meglio, anche se mi aspettavo un vino migliore.

Tempranillo Albet y Noia 1999, un vino da agricoltura biologica del Penedes, vinificato con una parte dell’uva in fermentazione carbonica. Ci avevo puntato molto, invece …  , al naso si sente solo il dado da brodo, in bocca è sporco e poco piacevole, decisamente cattivo.

Con questi vini Andrea ci aveva portato un po’ di affettati, giusto per non bere senza nulla da mangiare, buoni i ciccioli verdi, poco buona la mortadella, decenti gli altri.

Visto la brutta figura degli ultimi vini, è saltato fuori anche qualche vino di riserva.
Mormoreto Frescobaldi 1990, continuiamo con gli uvaggi bordolesi, che in questa annata si è dimostrato veramente grande. Bellissima beva e grande corpo, una lunghezza infinita.
Barbaresco Roagna Crichët Pajè 1998, una grandissima eleganza per un corpo importante e non invadente, un vino decisamente GRANDE.

Bella serata e bella bevuta!

Un grazie a tutti i partecipanti.

14 agosto 2014

Il Capriolino a Vodo di Cadore

Il Capriolino è ricavato in una stanza laterale del più famoso ristorante, già premiato con la stella dalla guida Michelin, Al Capriolo a Vodo di Cadore. E’ stata una scelta commerciale fatta dalla famiglia Gregori che, in questi momenti di crisi economica, li aiuta a continuare ad essere presenti, restando ai massimi livelli, nella realtà gastronomica del Cadore.
La cucina è la stessa del Capriolo, ma i menù sono studiati per essere più semplici ed economici, senza però nulla lasciare alla qualità che rimane sempre eccellente, e le quantità sono più che soddisfacenti.
La carta dei vini è stata studiata per questa realtà in modo più semplice, ma rimane comunque la possibilità di scegliere dalla più ampia ed articolata carta del ristorante maggiore.
Dopo una giornata tra i monti questa nostra visita è stata molto apprezzata perché l’appetito non mancava.
Cominciamo con uno stupendo risotto di Vialone Nano di Grumolo delle Abbadesse con funghi porcini che quest’anno non sono mancati. Riso all’onda come piace a me e porcini in abbondanza.

A seguire io scelgo un piatto classico: Daube di Capriolo con patate al vapore, carne che si disfa in bocca mantenendo il sapore della selvaggina, le patate assorbono il sugo e partecipano al tripudio del piatto.

I miei commensali provano, e mi fanno assaggiare, altri piatti:
Faraona in cacciatora con funghi e polenta di grano saraceno, veramente appagante, saporita e tenera la carne ben accompagnata dai funghi e piacevole la polenta di grano saraceno.

Baccalà mantecato con le verze e polenta, ottimo anche questo piatto, originale per me l’abbinamento con le verze che ben equilibravano il sapore dolciastro del pesce.

Per finire una discreta crema con frutti di bosco.
Abbiamo bevuto un piacevolissimo Friulano di Toros del 2012 che con i funghi del risotto ci stava benissimo ed un vino per nuovo, il Terraforte 2005 del Castello di Lispida, un vino vinificato in grandi tini aperti di legno da uve Sangiovese e Merlot ed affinato in botti grandi. 

Un vino sorprendentemente piacevole con buoni tannini ben levigati ed un bel corpo, molto lungo al palato.

Visto l’ambiente, il servizio e soprattutto la qualità della cena, la spesa di € 225 in cinque, compresi i vini, l’acqua ed i caffè, è, a mio modesto parere, veramente accessibilissima.

13 agosto 2014

Dolada Agosto 2014

Sul versante del monte Dolada, proprio sul lago di Santa Croce, questo tranquillo albergo a Plois D’Aalpago ha un bellissimo ristorante, da oltre 90 anni di proprietà della stessa famiglia.
Arriviamo in un giorno uggioso, come quasi tutti quelli di questa estate, e veniamo accolti con molto garbo da maitre, ci fanno accomodare su un tavolo di fronte ad una finestra che da sulla valle e sul lago e rimpiangiamo il fatto che non sia una bella giornata perchè il panorama sarebbe stato stupendo.
Scegliamo un menù chiamato “I Classici”, non conoscendo la cucina di questo ristorante ci è sembrato una buona maniera per fare una esplorazione.
Cominciamo con lumache gratinate ai fiori delle dolomiti, un pò pretenziosa la presentazione con tanto di zocco di legno e ramo di pino, ma il piatto devo dire che era veramente squisito. Le migliori lumache che mangiavo da un bel pò di tempo.

In attesa della seconda portata lo chef ci omaggia di un assaggio di una minestra di riso di Grumolo dell’Abbadesse con olio del Garda molto interessante, anche se, a mio giudizio, un pelo scotto il riso.

Proseguiamo con il primo, una Carbonara scomposta con uovo in camicia, bacon a fette croccante e neve di parmigiano. Piatto già visto ma ben eseguito, d’altronde, se fà parte dei “Classici”, è lecito supporre che sia in carta da diverso tempo.

Il secondo è composto da alcune fette di peperone arrostito e spellato, dolce e saporito, saltato in padella con cipolla che accompagnava la tagliata di manzo al sentore affumicato. Qui l’astuzia dello chef ha fatto di un buon piatto un piatto intrigante. La carne era cotta perfettamente con la parte esterna perfettamente croccante, ma in sentore di affumicato faceva sorgere il dubbio sul tipo di cottura, in quanto una affumicatura non avrebbe lasciato la parte esterna così ben arrostita. L’arcano ci viene svelato dal gentilissimo maitre, facendoci notare il truciolo che ardeva tra i due piatti di portata che dava al piatto questo sentore affumicato.


Per finire uno zabaione con frutti di bosco ben fatto ma poco entusiasmante.

Con una bottiglia di un poco entusiasmante Pinot Nero italiano abbiamo speso € 180 in due, un prezzo che, anche se nel complesso siamo stati bene, ritengo un pelo eccessivo per il nostro pranzo. Resta comunque una valida sosta nel caso si transiti per quel territorio.

26 luglio 2014

FestegGiare

FestegGiare, doveva essere una festa in onore dell’estate, ma il tempo bizzarro di quest’anno ha trasformato la serata in una piovosa serata d’autunno, con anche un po’ di nebbia tra i colli cesenati.
Siamo comunque andati a questo evento spinti, prima di tutto, dalla voglia di rivedere un amico, Claudio, titolare del Le Giare a Montenovo di Montiano, poi dalla voglia di assaggiare le nuove creazioni del suo bravissimo chef, Gianluca Gorini, ed infine dalla curiosità di assaggiare i vini dell’azienda RiLuce dell’Oltrepo Pavese, di Giorgio Mercandelli.
Ora, parlare del Le Giare senza parlare dei piatti di Gianluca è una eresia, perciò due parole le spendo subito, perché poi vorrei, questa volta, parlare di questi strani vini fatti da quello strano personaggio che è Giorgio Mercandelli.
I piatti:
Ogni piatto viene servito con abbinato un bicchiere, a volte di questi strani vini, a volte con altre bevande.
Una considerazione sulla cucina di Gianluca Gorini, i suoi piatti sono impostati sull’antagonismo dei sapori, con acuti, normalmente della componente acida o amara, equilibrati dalle componenti dolci e morbide.
Il grande equilibrio che riesce a realizzare fa dei suoi piatti una vera e propria opera d’arte.

Palamita, cetriolo in salamoia, senape nera: la palamita, buonissima, serviva da tavolozza sulla quale erano appoggiati i “colori” di questo piatto. Il cetriolo in salamoia che contrastava con la senape forte di Digione. Mi ricordava un pò i cetrioli sud tirolesi con il cren, sapori comunque taglienti che ti avvisano su che strada prenderà la cena.
Servito con GIN TONIC da manuale dal sapore neutro per non sovrastare i sapori del piatto.

Crostacei, pomodoro in conserva, pompelmo rosa: anche qui ottima la qualità dei crostacei, mazzancolle e canocchie, ed anche qui la parte del leone la fanno i pomodori in conserva, tendenti al dolce e gli spicchi pelati del pompelmo rosa acidi. Servito con vino bianco “E”.                                                                                                       

Penne all’arrabbiata …   …   …  : qui il dualismo era presentato dal pomodoro, acido in una maniera straordinaria e la paprika, dolce ed olio della tenuta Pennita che arrotondavano questi acuti senza perdere nulla in piacevolezza, alcuni tocchetti di sgombro crudo e foglie di erba di campo condivano il tutto. 
Servito con INFUSO DI ANICE SEMI E FIORI, piacevole, ma non ho capito l’abbinamento.




Tortelli di melanzane fumè: insieme al seguente, il piatto top della serata. Tortelli ripieni di melanzane affumicate, serviti con pomodori dolci, ricotta fresca ed una crema dei erbe amare che riproponeva il dualismo dolce/amaro. 
Servito con vino bianco “E”.

                             
Coniglio al pepe verde: come detto prima uno dei piatti top della serata.  Salta fuori un po’ l’origina dello chef in questo piatto che ricorda la tradizione marchigiana del coniglio in porchetta. Cottura perfetta delle carni, di grandissima qualità, che prendevano ulteriore sapore dal finocchietto , dolce, e dal pepe verde, aromatico e fresco, non troppo piccante.



Servito con vino rosso “A”, purtroppo.

                                 


Quinto quarto: Fegato, cuore e reni, il cuore e le reni, tendenzialmente amare contrastavano benissimo con la dolcezza di un fegato al rosa di qualità stratosferica
Servito con un THE VERDE che, IMHO, ha penalizzato il piatto.

Castrato alla brace: tre tagli di questo animale, cotti alla brace, serviti con un purè di limone ed una salsa che a me è sembrata di cicoria, tanto era amara. Il collo, più grasso e tenero era veramente buono, le altre parti, pur molto saporite, erano un po’ durette nonostante la poca cottura. Le due note affiancate, il purè acido e dolce e la salsa amara, rendeva comunque interessante questo piatto.

Servito con vino rosso “I”.





Verbena & Rhum     

Cocomero, rucole e cannella  
                             


Fucsia
                       


I vini…
Da quello che ho capito, Giorgio Mercandelli, come detto prima è uno strano personaggio, ricerca i vecchi vigneti dell’Oltrepo Pavese, vigneti abbandonati dai precedenti proprietari e vi va a raccogliere l’uva, senza fare nulla di quello che è la viticoltura tradizionale, ma neppure quella innovativa o biologica-biodinamica. In sostanza, non li coltiva. Raccoglie solo l’uva, quanto la ritiene pronta, la porta in cantina e la vinifica.
Ora io non so se ho capito bene, ma sembra che a lui non interessi fare dei vini “buoni”, il buono è un concetto per lui superato, sembra che la sola cosa che ritiene importante sia la LUCE che riceve il vigneto. Non per nulla ha chiamato l’azienda “RiLuce”. Ed i suoi vini li ha chiamati con delle vocali le quali vocali, nel pensiero di non ho ben capito quale filosofo, richiamano dei colori che lui ha puntualmente riportato nelle etichette delle bottiglie. Vocali che ha inciso sulle etichette anche in braille, penso per fare capire la cosa anche alle persone non vedenti … (?)
I suoi discorsi che passano dal naturale all’alchimia, dalla luce delle vigne al ridotto del vini, sono, a mio parere alquanto strani, ma non avendoli capiti in pieno non voglio dare un giudizio su questa filosofia.
Una mia impressione sui vini però penso di avere il diritto di esprimerla.
Io non ho superato il concetto di buono e perciò, probabilmente, parlerò di un universo parallelo a quello di Giorgio Mercandelli.
Il primo vino, “E” , è un vino bianco con una discreta macerazione, ha un alto grado alcolico e con una discreta acidità che rende il vino abbastanza equilibrato. E’ il vino più interessante della serata e l’unico dl quale ho bevuto più di un assaggio.
Il secondo vino, “A”, è un vino rosso colore granato, con una forte puzza al naso che mi fa pensare a scarsa pulizia, molto alcol anche in questo vino, ma decisamente poco piacevole.
Il terzo vino, “I”, è un altro vino rosso, nel versarlo ha prodotto una leggera spuma che è sparita, giustamente, in breve tempo. Il colore più rubino con riflessi quasi violacei. Al naso più pulizia del precedente, ma con un leggero ridotto che, nel tempo, si è affievolito. Frutti maturi e molto alcol in bocca, anche un residuo zuccherino che rende il vino molto morbido. Leggermente più piacevole del precedente, ma niente di che.
Come avrete notato, non ho parlato di vitigni perché per lui la tipologia dei vitigni è ininfluente per la realizzazione dei suoi vini ed a noi non li ha comunicati.
Se volete approfondire la conoscenza di Giorgio Mercandelli, della sua storia e dei suoi vini, vi lascio alcuni link:

24 luglio 2014

Verticale Gaiospino

La degustazione di alcune annate di uno dei Verdicchi più originali delle Marche è stata la scusa per trovarsi a casa di un amico a ridere e scherzare e, perché no, mangiare due cosette.
Mirko Castellucci mitico fornaio di San Colombano, appena fuori Meldola, ha casa in centro a Forlì ed approfittando dell’assenza della famiglia ci ha ospitato per questa degustazione, oltre a prepararci alcuni manicaretti come la sua favolosa spianata che ha farcito con funghi porcini saltati in padella e salmone
e un piatto di spaghetti di pasta Kamut con gamberi e funghi porcini, un revival anni 70 che ogni tanto non dispiace.
Cominciamo con un aperitivo di bollicine, Champagne Gosset-Brabant NV: bel vino, fresco con perlage fino e dal colore paglierino. Una piccola nota ossidativa dava al vino un carattere importante degno di un vino da tutto pasto.

Ma torniamo alla scusa di questa riunione.
Lucio Canestrari ha impostato la sua cantina, Fattoria Coroncino, con una filosofia molto particolare che ricorda molto quella del guru friulano Josko Gravner: fa il vino che piace a lui.
Poi, se piace al mercato, riesce pure a venderlo …  ed al mercato piace e pure molto, almeno se per mercato mi ci posso mettere io ed i miei amici.
Trovate in giro per varie cantine di amici  le seguenti bottiglie:
Gaiospino Fumè 1998
Gaiospino 1999
Gaiospino 2000
Gaiospino 2001
Gaiospino 2002
Stracacio 2003 E’ decollata la verticale:

Gaiospino Fumè 1998, legno perfetto, per niente invasivo, ancora una buona acidità in bocca dava equilibrio ad un vino corposo e persistente, tra i migliori della serata.
Gaiospino 1999, il tappo non ha tenuto ed il vino si è ossidato da bestia, non giudicabile.
Gaiospino 2000, bel colore giallo paglierino, con ancora qualche riflesso verdognolo. Al naso ancora molti fiori e poi frutta gialla matura. In bocca è armonico con un bell’equilibrio tra alcol e freschezza. Lunga persistenza. Un gran bel vino.
Gaiospino 2001, giallo chiaro ancora con bei riflessi verdognoli, al naso fiori di mandorla e di acacia. In bocca è un vino fantastico, a mio parere il migliore della serata. Armonico ed equilibrato con una freschezza lunga ed affilata che ti fa venire voglia di berne a litri.
Gaiospino 2002, dopo la grande prova del precedente un po’ ha pagato. Un pelo meno armonico, con poco corpo ed un pelo squilibrato verso la parte acida.
Stracacio 2003, non c’entra nulla con gli altri verdicchi, tutto un altro vino, quasi 16 gradi alcolici, è un vino da formaggi, ma ancora con una acidità importante che reggeva benissimo il confronto con l’alcol e lo faceva diventare un vino equilibratissimo ed armonico.

Un grazie di cuore a Mirko per averci ospitato e…

Alla prossima!

09 aprile 2014

1858 Brut

Può un Albana di Romagna stupirmi?
L'Albana è uno dei vini che anche solo nella dominazione ha la più vasta espressione di qualità.
Dal secco, all'amabile, al dolce al passito, quasi tutte le categorie di vino sono rappresentate, mancava lo spumante.
Ora c'è pure quello, lo ha fatto Marco Branchini.
In occasione del suo matrimonio ne aveva preparate 300 bottiglie e gli è piaciuto tanto da provare a condividerlo con i suoi clienti preparandone altre 3000.
Questo Albana fermentato in metodo classico ha veramente quel qualcosa che gli dà una ragione di esistere.
Oltre a dare all'Emilia Romagna uno spumante come Dio comanda, riesce finalmente a sdoganare il vitigno Albana al di fuori dei confini della Romagna.
E' infatti un vino che può degnamente competere con tanti altri spumanti più blasonati e fare una bella figura su tutte le tavole.
Un bel colore oro brillante, un perlage molto fine aprono al naso di un bel bouquet di fiori e frutta fresca. In bocca è  pieno, ma anche sorprendentemente fresco, bevibile e molto persistente.
In sostanza un bel vino.

Complimenti ai fratelli Branchini per questa New Entry.

31 marzo 2014

Le Giare, Gianluca Gorini 2.1

Torno ad assaggiare la cucina di Gianluca Gorini in quel del Le Giare.
Dopo un piccolo aperitivo a base di un bitter artigianale, Ambitter, veramente notevole per complessità di aromi e piacevolezza, ci sediamo per un benvenuto della casa.

Davanti a noi un piccolo piattino quadrato con alcuni assaggini, tra cui:
Gel di bitter, di cui sopra, simpatico continuum in consistenza solida.
Foglia di porro fritto con caprino e semi di sesamo tostati , un assaggio di una complessità di sensazioni e di sapori veramente straordinario. Un “Finger Food” da grandissima cucina.
Battuta di carne su tuille di Topinambur con maionese senape. E’ questo l’unico assaggio della serata in cui non ho trovato grande equilibrio. A mio gusto, la tuille copriva il sapore della maionese senapate e la si faceva fatica ad avvertire.

Cominciamo gli antipasti con Bosega marinao al the nero affumicato, su insalatina con yogurt e ravanelli. Un piatto ben strutturato per equilibrio di grassezza ed acidità con la nota leggermente affumicata che stuzzicava il palato.

Continuiamo con Scarpetta ferro e fuoco, con granita di lattuga di mare e salicornia. Qui il contrappunto è dato da contrasto caldo e freddo su una base sapida della salicornia. Ottime le Scarpette e piacevolissimo il riempire di granita il sacco del cefalopode e degustarle insieme.
A seguire: Anguilla al forno su spremuta di Acetosa su insalata di Acetosa. Torniamo al contrasto Grasso Vs Acido, qui spinto agli estremi. Difficile apprezzare la spremuta di acetosa da sola, veramente mirabile insieme all’anguilla, tra l’altro, una delle più buone mai mangiate!
Vengono poi due palline di Salsiccia con spuma di Birra e Cipolla, con sentori di Garofano e di Alloro. Ispirato alla tradizione germanica di Birra e Salsiccia, italianizzato con una salsiccia di Mora veramente ottima, Cipolle di Tropea in agro e una spuma di birra che rendeva equilibrato in amarevolezza la tendenza dolce della salsiccia  e della cipolla. Molto intrigante il sentore di Garofano, più “tradizionale” quello di Alloro.
Passiamo ai primi con Eliche al profumo di mare con Rosmarino di mare e Bergamotto.  La nota di Bergamotto ben si sposava con il sugo di lumachine, molto tradizionale. La presenza del rosmarino era invece un po’ massiccia, a mio gusto, molto piacevole invece una volta ridotta di numero.
Altro primo “da battaglia”: Cacio e Pepe moderna. Ravioli farciti di pere cotogne (al contadin non far sapere…) conditi con pepe e formaggio di fossa grattugiato. Questo piatto stà diventando un must di Gianluca, lo avevo già assaggiato lo scorso novembre e noto con piacere che è stato mantenuto in menù.
Passiamo ai secondi con due filetti di Rombo arrostiti, con Canolicchi di sabbia e cipollotti alla brace. Ottimo il rombo e piacevolissimi i canolicchi, buono anche l’abbinamento con i cipollotti dolci arrostiti sulla brace.
Arriviamo al piatto forte della serata: Piccione romagnolo con Ginepro e Cassis. Qui i contrappunti sono cercati su molteplici piani: grasso ed acido, dolce e amaro. Una gita nel gusto sul filo del rasoio, con la cintura di sicurezza dell’ottima materia prima e della grande mano di Gianluca.
Ci avviciniamo alla Pasqua e non poteva mancare un accenno di Agnello, ma … solo quinto quarto. Frattaglie di Agnello, Rognone, Cervello e Fegato, con Carciofi, The Verde e Capperi.
Io non sono cresciuto con il sapore delle frattaglie, ma questo piatto era così delicato che me ne sono innamorato.
Procediamo verso il traguardo con un predessert, Sorbetto di Anice con Menta essiccata e Cannella, gusti questi che mi piacciono da sempre e che mi mandano in estasi.
Per concludere, un altro Deja Vù, ce ne fossero di questi: FUCSIA !
Gelato di Rabarbaro con Lampone e sorbetto di Mandorla. Per la serie: come fare un gelato del quale non ti stancheresti mai di mangiarne! Per niente stucchevole e fresco di acidità, tale che non fa neppure venire sete, cosa che nei gelati tradizionali non è scontata.
Piccola pasticceria!!!
Abbiamo bevuto:
Ambitter come aperitivo
Puligny Montrachet premier crù La Garenne 2009 di Larue con i primi



Pomard premier crù Jarollieres 2007 di J.M.Boillot con il piccione
Birra Mikkeller Sort Gul con l’agnello
Chateau d’Yquem 2002 dopo il tutto, tra chiacchiere e meditazioni, non stò a descrivere un mito, è Yquem e basta!

                                                    

C'era anche un pò d'acqua, ma non ricordo la marca.